I Segreti dei Maestri di Sci – Gino Seghi – di Fulvio Campiotti 1957

I primi sci regolari Seghi li ebbe quando, a sedici anni, fece la sua prima gara. Ma a sedici anni le buscò anche robuste da suo padre Massimo, che era severissimo.

Il giovane Seghi scoprì che era bello sciare sul tetto della sua casa, in inverno ricoperto da un alto cappuccio candido. Saliva dalla parte attaccata alla montagna e scendeva dalla parte opposta, fermandosi con un cristiania a un metro e mezzo dal bordo. La faccenda andò lisia il primo giorno. Ma al secondo papà Massimo vide le tracce sul tetto e allora furon botte perchè giudicò troppo pericolosa la prodezza del figliolo.

Nella vita giovanile del futuro campione e maestro, fra gli sci regolari della prima gara e quelli dell’infanzia con attacchi a sandalo di frate ci sono gli sci che Seghi chiama “intermedi”. Glieli fabbricò il cugino Pietro Petrucci che fu il primo sciatore dell’Abetone. Sci intermedi per l’attacco a ciabatta, fatto con un pezzo di cinghia per trasmissioni rinforzato da un tallone di cuoio. La ciabatta era avvitata allo sci solo davanti. si alzava così come l’attacco Bilgeri. Una cinghia che passava sopra il collo del piede bloccava, per modo di dire, l’attacco alla scarpa. Un capolavoro, dato i tempi.

Cominciò presto a fare il maestro Gino Seghi. Nel 1928, a ventidue anni, prima ancora di essere patentato. Da allora un assortito campionario umano è passato sotto gli occhi di Gino, ora maestro, ora allenatore, ora esaminatore. Con tipi strambi naturalmente. Come quel professore anziano conosciuto a Madesimo. Un occhialuto allievo che ci vedeva poco. Ma che in compenso voleva imparare a sciare senza mai mollare il sacco gonfio e pesante che si caricava sul groppone ogni mattina. Il professore-allievo faceva a mala pena lo stem-cristiania e ogni curva, anche per colpa di quel benedetto sacco a cui non voleva rinunciare, andava a gambe all’aria. Quando Seghi vedeva che il suo scolaro era ben bagnato da una parte, gli faceva cambiare curva perché si potesse bagnare dalla parte opposta. Così fu per una settimana filata. Mai una volta che il professore fosse riuscito a fare una voltata senza cadere.

Ma anche con tipi straordinari. Come l’allievo Giuseppe Ghirardi. Un formidabile vecchio di ottantun’anni, barbetta bianca, asciutto come uno stambecco, che Seghi ebbe per due estati alla scuola estiva del Livrio. Nel 1955, dopo una settimana di corso, il vegliardo scese a Bormio, si prese una guida e ritornò al Livrio passando per le capanne Casati e 5° Alpini. Arrivò freschissimo, come se avesse fatto una normale lezione. E come se niente fosse, calò subito al Passo del Stelvio. A piedi, si capisce.

Nel 1956 Ghirardi fece due turni settimanali e prese parte con gli altri allievi della sua classe, la prima, alle gare di fine corso. Si beccò un premio speciale che ritirò con gli occhi pieni di lacrime, per la gioia e la soddisfazione legittima di essere ancora capace di tanto.

Nella memoria dei maestri di sci i casi curiosi vi si annidano spesso. Conversando saltano fuori facilmente. Come da una distributrice automatica, a metterci una moneta, vien fuori qualcosa a sorpresa. Ma un caso come questo che Seghi racconta è più unico che raro. Ascoltate. Forse riderete.

“Nell’inverno 1930-31 mi trovavo all’Abetone per un corso riservato ai militi confinari di quel tempo. Mio fratello Claudio usava uscire di casa già con gli sci ai piedi. In una casa vicina alloggiava un sardo che vedendolo balzare fuori dalla porta a quel modo si sentì spinto, una bella mattina, ad imitarlo.

Senonché mio fratello stava al pianterreno e il sardo al terzo piano. Particolare questo che al milite sembrò di trascurabile importanza. Quindi calzò gli sci e si infilò giù per le scale. Dopo tutto, pensò, si trattava di fare uno slalom speciale nel vero senso della parola. Anzi…specialissimo. Come andò a finire è facile da immaginare. Il sardo fece un tale ruzzolone che per una settimana fu inchiodato nel letto. A scervellarsi sulla straordinaria abilità di Claudio che dalla porta usciva come un razzo e sempre senza ammaccarsi le ossa”.

Un’avventura curiosa e a lieto fine, ma ne poteva avere anche uno di diverso, Seghi la visse personalmente nella primavera del 1933. Ce la narra lui stesso.

“S’era in maggio, ricordo, e dovevo raggiungere il Rifugio Fedaia per prendere parte alla prima gara di discesa della Marmolada. Una macchina mi portò oltre i passassi di Sottoguda. dopo avrei dovuto continuare a piedi. Domandai quanto cammino mi separava dalla capanna. due orette, mi dissero. Sacco e sci in spalla e via, di buona lena. Cammina e cammina, passa un’ora. Ne passan due. Ne passan tre. Del rifugio neanche l’ombra. Dove s’era ficcato, mi chiedo. Di colpo, buio pesto. E col buio un temporalone con grandine grossa tanto.

Tornare indietro. E chi avrebbe ritrovato la strada in quell’oscurità! Gira, gira, dopo un quarto d’ora ecco una baita. Tiro fuori una candela che avevo nel sacco, rischiaro l’ambiente, accendo il fuoco per combattere il freddo notevole, mi preparo un giaciglio con delle assi e cerco di riposare alla meno peggio. Al mattino, lieta sorpresa, trovo trenta centimetri di neve fresca. Metto le pelli di foca sotto gli sci e in poco tempo sbuco sul Pian di Fedaia. Vedo in lontananza il rifugio. Ma vedo anche un cartello: Attenzione, non attraversare il lago perché il ghiaccio cede. Sudo freddo al pensiero che senza il temporale non mi sarei fermato, col buio non avrei visto il cartello e la neve vecchia e marcia mi avrebbe nascosto il ghiaccio fragile. Avrei risparmiato la doccia che mi regalò l’uragano, ma avrei fatto un bagno sicuramente micidiale. Anche perché nessuno sapeva che ero in viaggio per il Fedaia, e nessuno si sarebbe sognato di venirmi a cercare. O a ripescare”

 

Gino Seghi – nato all’Abetone il 24 maggio 1906. Patentato maestro di sci nel 1932, durante i primi esami fatti in Italia, a Clavière. Maestro scelto nel 1947 – n. 13 di distintivo – Direttore tecnico della FISI dal 1950 – Direttore della Scuola Nazionale Estiva di sci del Livrio dal 1947 in poi. Direttore della Scuola Nazionale di sci di Bormio dal 1956 al 1957. Allenatore Federale nel 1941 della squadra femminile e dal 1947 al 1951 delle squadre maschile e femminile. Dal 1952 al 1954 allenatore federale insieme a Zeno Colò e Silvio Alverà. Dal 1955 al 1956 allenatore federale degli juniores e ispettore dei centri di addestramento – Dal 1952 al 1856 ispettore delle scuole di sci italiane. Ricopre numerose cariche nella FISI. Più volte membro della commissione esaminatrice dei candidati maestri di sci. Collaudatore e e tracciatore di piste durante le Olimpiadi Invernali del 1956 a Cortina. Premiato dal C.O.N.I per il libro “Sciismo” uscito nel 1951. Premiato dalla FISI per le sue benemerenze con una medaglia d’oro.

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