Quel giorno in casa Gros – di Franco Colombo

Sciatori d’Epoca in ricordo di Candido, Lidia e Renzo Gros 

Sono le 14,30 di sabato 9 marzo, quando pigio il campanello di casa Gros, in frazione Jouvencaux di Sauze d’Oulx. Per ora conosco solo le notizie che ha passato la radio italiana e dunque sono discretamente disinformato: so soltanto che Pierino ha vinto sui monti Tatra la prima « manche » del gigante che potrebbe assegnargli, con tutti i crismi matematici, la coppa del mondo 1974. Ecco perché sono piuttosto imbarazzato. Intanto sono abituato a portare notizie, piuttosto che a riceverle e la disinformazione mi procura uno stato di depressione professionale. Eppoi, anche se cerco di far disperato appello alla logica tecnica, temo che nella seconda prova possa essere successo un patatrac tale da costringermi allo sgradito ruolo di portatore di compianti, anziché di congratulazioni. Ed a sbagliare l’attacco c’è da fare una gaffe mica male. Conto perciò di leggere la notizia sul volto di quelli di casa, fidando in un minimo di psicologia e di mestiere. Quando però mi viene ad aprire papà Gros, entro subito in crisi: il suo viso cotto di montanaro è, come sempre, impenetrabile.

 

« Allora, come è andata ? » prendo tempo. « È andata così, che ci vuol fare? » replica il signor Candido. Mi cascano le braccia, tanta rassegnazione non può che sottintendere una sconfitta, evidentemente. Sto per abbozzare qualche frase di circostanza; poi, per fortuna, mi ricordo che i piemontesi – di montagna e di campagna, soprattutto — reagiscono apparentemente con la stessa, rassegnata indifferenza a tutti gli eventi buoni e cattivi. Ed allora, ormai sconfitto sul terreno psicologico, chiedo lumi, prima di peggiorare la situazione con interventi inopportuni. « Così come? » « Che ha vinto, no? » dice papà Gros, con imperturbabile semplicità. Il più emozionato, non c’è dubbio, sono io. Così mi fanno entrare, accomodare e mi offrono un Genepy. Nel salotto buono c’è già un amico — un carabiniere — e sul tavolo un bottiglione di barbera (« quello d’uva »); circola anche qualche fotografia di Pierino, anche perché quest’anno il loro figlio celebre, papà Candido e mamma Lidia (soprattutto) se lo sono veduti soltanto « in cartolina », come si dice da queste parti. O in televisione (ma in differita, preferibilmente). Si festeggia in semplicità, alla piemontese. Ed il mio arrivo, le mie domande non scuotono la situazione. Papà Gros gioca a fare il duro, più ancora di quanto non lo sia. « Tante storie, voi giornalisti; proprio non vi capisco. Ha vinto Pierino, mica io: prendetevela con lui … » esordisce con un fil d’ironia sotto i baffetti « hitleriani », che nella sua faccia arrossata fanno soltanto simpatia.

Poi aggiunge: « Sì, sono felice; come potrebbe essere altrimenti? Ma, e vi prego di credermi, sarei stato contento anche se Pierino non avesse vinto la Coppa: per quest’anno aveva già fatto abbastanza, comunque fosse andata a finire ». Ed è sincero, stavolta. È la tipica logica piemontese: uno lavora, fa il suo dovere e tanto gli basta. Il resto, bene e male, trionfi ed insuccessi, è un di più: viene accolto, come dicevamo prima, quasi con rassegnazione. Anche se si tratta della coppa del mondo. È fatalismo controvoglia di questa gente che crede nel lavoro e nei meriti personali, ma sa che la sorte ci mette poi sempre qualcosa di suo; ed è proprio questo punto del destino che urta le loro concezioni e viene accolta con fastidio; anche quando è dalla parte giusta. Eppoi c’è un’altra componente tipica del carattere piemontese, l’attivismo, che in queste circostanze serve pure come stimolante contro l’abbandono dell’entusiasmo. Così adesso siamo già ai discorsi pratici: alla ricerca del posto più adatto per la coppa, visto che la vetrinetta è ormai piena di trofei, perché quel pessimista del signor Candido non l’ha fatta fare abbastanza grande, come gli rimprovera timidamente ed affettuosamente la moglie che tra l’altro è anche preoccupata per il fatto che questo trofeo è di cristallo, dunque non infrangibile.

Ad entusiasmi così sopiti, irrompe come un ciclone Augusto Lelli, reatino trapiantato da 12 anni a Sauze, vicepresidente dell’associazione commercianti e gran tifoso di Pierino. Nemmeno lui conosce ancora la notizia, che è arrivata in casa Gros con un incredibile ponte radiotelefonico, una versione elettronica della catena di Sant’Antonio. La signora Edda Menardi, la prima fans di Gros — nonostante sia nata a pochi chilometri dalla casa di Thoeni, in val Venosta — ha infatti messo in allarme i suoi cugini di Cortina, costringendoli a sintonizzarsi sulla radio austriaca, che trasmetteva la cronaca diretta della seconda manche, rimbalzata poi via telefono a Sauze. Anche la notizia del successo della prima prova è arrivata in casa Gros tramite Renato il postino (un altro meridionale trapiantato e piemontesizzato) che l’ha captata dalla radio francese. Dunque anche Augusto è all’oscuro di tutto e lui pure si lascia fuorviare dal clima freddino ormai instauratosi in casa Gros. Quando papà Gros gli comunica, con la consueta calma, la notizia del successo Augusto, il cui carattere estroverso non è stato certo gelato dai 12 anni trascorsi a Sauze, esplode. Lancia un grido d’esultanza abbraccia papà Gros, poi si butta a sedere, vinto dall’emozione, e si prende la testa tra le mani, quasi volesse piangere. Implacabile il signor Candido lo canzona: « Hai mal di testa, vuoi un Veramon? » Lui sospira ed il signor Gros incalza: « Stai attento, che sei fai così rischi l’infarto ». Ed arriva il barbera, medicina ideale in questi casi; assieme a prosciutto e toma. Io vengo naturalmente coinvolto nel giro, soprattutto in quello del barbera. « Così — scherza il signor Candido – diventa complice e voi giornalisti la finite una buona volta di ironizzare sul fatto che noi non usiamo lo champagne, per festeggiare. Noi viviamo oltre i 1500, ma non siamo mica fessi come qualcuno cerca di farci passare … » aggiunge poi con tono decisamente più duro. Ce l’ha con qualche giornalista che per malinteso gusto del colore ha fatto di casa Gros un quadretto oleografico di famiglia montanara degli albori del secolo. Mentre papà Gros è montanaro sì, e giustamente fiero di esserlo; ma d’avanguardia, tant’è vero che ha saputo superare la crisi che travaglia la valle ed ha una valida azienda familiare — con il fratello — che si occupa di legname. Altra scampanellata, ed è Renzo, il fratello anziano (per un anno) di Pierino, alpino di leva nella compagnia atleti a Courmayeur, che porta lui pure il suo piccolo contributo di coppe e medaglie. Lui è valsusino e così la notizia, comunicata con la solita compostezza, è ricevuta con altrettanta quieta soddisfazione. « L’è andaita », è andata, dice papà. « Sun content », replica Renzo.

Il resto se lo dicono in codice familiare, un codice che, come vuole l’abitudine montanara, sfrutta soprattutto i silenzi. E finalmente parla anche la radio italiana: « Vedrai – dice Augusto acido — che l’anno prossimo riusciranno a diminuire il distacco da francesi ed austriaci: stavolta sono stati colti di sorpresa ». La radiocronaca, seppur ritardata, fa ancora silenzio ed emozione. La signora Lidia sospira e muove impercettibilmente le labbra, quasi « accompagnasse >> il radiocronista. Ma forse prega per questo suo figlio; perché è diventato campione ma, soprattutto, perché non si è fatto male. Papà Gros affetta, al solito, indifferenza. La sua tensione si scarica sulla « nazionale » che ha tra le labbra e che patisce « tirate » poderose, che la bruciano in un attimo. Tutto però è silenzio è compostezza; soltanto Augusto fatica a star zitto e cambia continuamente appoggio, dal piede destro al sinistro, quasi stesse pure lui curvando tra i paletti dello slalom: in realtà è l’unico modo di fare movimento senza dar troppo nell’occhio. Certo c’è più caciara fuori. Non tanto nelle strade, dove si parla più inglese che italiano, ma al Miravallino, il « salotto doposci » di Sauze, ora epicentro della Polisportiva, animato appunto dal padrone e supertifoso Augusto Lelli. Non è piemontese: concepisce festeggiamenti piedigrotteschi, una « settimana del Pierino » addirittura, inaugurata dal trionfale arrivo di Gros issato su di un’auto dentro un’enorme coppa di due metri (già in cantiere),.. assieme alla più bella ragazza del paese. Ai centri direzionali — comune, azienda di soggiorno, associazione commercianti, sci. club, scuola sci — non sfugge comunque l’importanza della coppa, che deve servire anche a ringiovanire questo « vecchio Piemonte », a far muovere i « bôgianen ». Grandi cose sono in progetto: trascinate dall’esempio di Gros. Sauze e la Valle di Susa dichiarano guerra (turistica, naturalmente) all’Alto Adige. La coppa del mondo ha un valore pubblicitario enorme. È un motore irresistibile. Tant’è vero che a Jouvencaux, con la Coppa, arriverà anche la prima seggiovia: ho già visto i disegni.

 

 

 

 

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