Kitzbuhel di Gianluca Trivero

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Kitzbuhel non è una discesa libera: E’ l’energia implacabile della forza di gravità forgiata su una pista di ghiaccio che solo i campioni riescono a modellare, è la versione sciistica di Ulisse che fa volare “dritto mirando” il dardo nei dodici scuri. Per chi è cresciuto, prima cercando di decifrare nei vecchi TV bianco e nero il transito precipite di garisti sfuocati, poi imprecando per la latitanza frequente della RAI, ciò che colpisce vedendola dal vivo è l’aspetto intimo, raccolto, della sua partenza. Vi attende un piccolo chalet basso in legno e lamiera di pochi metri quadrati. tutto appare discreto, quasi domestico. Se superate gli atleti che si preparano, concentrandosi nei modi dettati dalla loro indole, gli skimen che fanno gli ultimi controlli e i tecnici che bisbigliano assorti nel crepitio delle radio, e arrivate al cancelletto, siete finalmente SOLI.
Ma anzichè una pista che si apre, dinanzi a voi vedete alberi.
Il vostro destino è alla vostra destra, quasi un sentierino vitreo a mezzacosta che dovete fare prima di curvare a sinistra e piombare nel burrone della Mausefalle e dei millesimi che divorano centinaia di metri… Non è vero che la via dell’Inferno è la più dritta!

Gennaio 1997

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