Beba Schranz – La seconda manche

BARDONECCHIA
di Beba Schranz

Alle sette e trenta inesorabile suonava la sveglia, una rinfrescata, la tuta da ginnastica e fuori a correre per venti/trenta minuti, poi, un po’ di balzi, un po’ di scatti, qualche allungamento. Da un po’ di tempo cominciava più o meno così la mia giornata, da quando la nazionale di sci alpino di quei primi anni ’70 mi aveva chiamata. Quella però era una mattina un po’ diversa, a fare ginnastica ero sola, Roselda, mia compagna di camera e di “fatiche”, fin dall’inizio di quella nostra esperienza sportiva, non c’era.

Ai Campionati Italiani si sa, si partecipa con il proprio Sci Club e del mio, lo Sci Club Macugnaga, c’ero sono solo io a Bardonecchia quell’anno. Lei, era in un altro albergo con le ragazze dell’ASIVA. Mi sentivo un po’ sola… come quei bambini che nei collegi rimangono nel refettorio quando gli altri escono con i genitori la domenica pomeriggio! Per certi versi quelle gare mi intristivano!

Per fortuna la mamma o il papà riuscivano sempre a trovare il tempo per venirmi a vedere e a farmi compagnia. Comunque mi sentivo diversa, le altre, le mie compagne di squadra, negli ultimi giorni, prima degli Assoluti, erano sempre tutte eccitate perché si sarebbero ritrovavate con i loro vecchi allenatori e le loro amiche del club, io invece ero felice solamente perché mi sarei goduta la mamma o il papà qualche giorno tutti per me!
Dopo la corsetta e gli esercizi di routine, mi sentivo però bene, bella carica, e la doccia calda al mio rientro in albergo aveva completato quella mia sensazione di benessere. Anche le fette biscottate con burro e marmellata che la mamma mi aveva fatto trovare pronte quando mi sono seduta con lei a colazione erano coccole molto gradite! “Sei sicura di essere tranquilla? Mi ripeteva quasi ossessivamente; “hai fatto tutto quello che dovevi fare? Se hai bisogno di qualcosa dimmelo ”. Non era abituata a stare inoperosa in un albergo che non fosse il suo, per di più, sola con me prima di una gara; “non devi pensare al risultato, fai la tua gara come sai sciare tu e basta! ”; si capiva benissimo cosa intendeva dire, lo scorso anno a Bressanone e l’anno prima a San Martino di Castrozza avevo inforcato un palo nella seconda manche dopo aver vinto la prima. Per due anni di seguito avevo “buttato” il titolo italiano di slalom e quella mattina era davvero difficile non pensarci.

Avevo appena finito di infilarmi i pantaloni e la guaina da gara e la mamma mi stava aiutando a legare il pettorale, il numero 5; “ l’ho stretto troppo?” “ No va benissimo, grazie” ; adesso era il turno della giacca imbottita e dei sopracalzoni ma inevitabilmente con la mente tornavo allo scorso anno a Bressanone; “se non altro non ci sono i -29 di quella mattina alla Plose! “, pensavo, mentre sci in spalla mi avviavo a Campo Smith, dove alle nove e trenta sarebbe cominciato lo slalom femminile.

Non mi piaceva proprio dover fare le cose da sola! Anche se, un lato positivo alla fine c’era, avevo tutto il tempo che volevo per pensare e questo mi piaceva molto. Mentre camminavo di buon passo e sentivo la neve scricchiolare sotto i miei scarponi mi venivano in mente certi discorsi e certe frasi lette qua e là, per esempio, Lucio Zampino o Guido Pietroni, non mi ricordo bene chi dei due, sosteneva che lo slalom speciale era la mia specialità. Probabilmente lo diceva perché mi vedeva piccola e quindi immaginava che avevo meno difficoltà degli altri ad infilarmi tra i pali stretti, ma io non ne ero poi così convinta, anche perché lo slalom ha due manche e tra la prima e la seconda io riuscivo sempre a materializzare fantasmi di tutti i generi. In discesa invece è diverso, dopo averla studiata bene e provata un po’ di volte, basta rimanere concentrata, ripassare il percorso mentalmente e poi via, una volta fuori dal cancelletto la paura o la preoccupazione svaniscono e ci si trova in fondo in un amen.

Stavo riflettendo su queste cose, quando la voce dello speaker che dava le prime informazioni sull’ordine di partenza del primo gruppo di merito e l’ora di partenza della prima apripista mi fece tornare alla realtà. “Ci siamo” pensai, dopo essermi infilata ai piedi gli sci d’allenamento e appoggiato quelli da gara sulla spalla, “forza Beba!” .

Risalivo il tracciato della prima manche concentrata provando a mettere in pratica tutti i consigli che via, via avevo ricevuto in quei mie primi anni di gare. Guardavo le porte, memorizzando le più strane: la lunga, la tripla dal dietro, quella filante dopo il dosso. Cercavo la linea ideale e i punti di riferimento che mi avrebbero aiutata nella mia discesa, tenendo conto che la prospettiva che avrei avuto in gara, sarebbe stata diversa rispetto a quella che provavo ad intuire salendo a scaletta! Salivo e nonostante a tutto non riuscivo a fare a meno di riflettere sulle mie compagne, quel giorno soprattutto avversarie. “Beate! ” pensavo, “loro sono con i loro sci club, tutte insieme! “. Le amiche di Cortina erano certamente con Gildo, l’allenatore della nostra Squadra, che però per quel giorno era soltanto l’allenatore dello Sci Club Cortina. Quando eravamo in giro con la Squadra e voleva scherzare o sdrammatizzare qualche situazione mi chiamava “scimmiotto”!

Studiavo lo slalom e mi guardavo intorno se tra i gruppi di atlete e allenatori c’era qualcuno che conoscevo, tanto per scambiare qualche parere, qualche battuta … “Scimmiotto! ”, sentii chiamare. Era certamente la voce di Gildo!

Mi voltai e qualche porta sotto di me c’era proprio lui con le ragazze che indossavano la maglia blu e bianca del loro sci club . Cosa fai? “Studio lo slalom! ”. “Ma … da sola?” “ Si” ; gli risposi con un sorriso un po’ stirato. Lui, che nel frattempo mi aveva raggiunta, aveva capito tutto e senza fare altre domande mi propose di salire insieme. Quella sgradevole sensazione di sentirmi come le bambine del collegio la domenica pomeriggio, non mi abbandonava, ma almeno avevo qualcuno a cui chiedere qualche consiglio. Il mio pettorale, il numero 5 era proprio un gran bel numero! Prima di me sarebbero scese la Cloti , poi Lidia, Roselda che aveva il tre e Giovanna con il quattro (Fasolis, Pellissier, Jaux e Tiezza), niente male come riferimento. Eva, Uli , Carmen (Pitscheider, Leitner, Rosoleni) e le altre, partivano dietro.

Intanto avevo raggiunto la zona di partenza. Cloti e Lidia stavano facendo i soliti allungamenti e le solite smorfie che normalmente facciamo prima della gara, chi ci vede può pensare che siamo un po’ matte vedendoci gesticolare a occhi chiusi muovendo la testa alla ricerca della linea ideale che ci siamo disegnate nella nostra mente! Per fortuna avevo un po’ di tempo, con calma cominciai a togliermi la giacca e i sopra calzoni, infilai gli sci da gara, strinsi bene gli scarponi e, come Cloti e Lidia, cominciai a controllare dentro di me ancora una volta il percorso, quando il giudice di partenza chiamò la numero 4 Giovanna Tiezza. “Ci siamo, dopo tocca a me! “.

La grande lancetta dell’orologione posto al di là del cancelletto di partenza era ferma sul 5, e la voce del giudice diceva:” preparati ”; il mio cuore batteva sempre più forte, lo sentivo appena sopra lo stomaco pum-pum-pum, l’orologione si spostava sul 4, poi sul 3, “la lunga dal dietro”, sul 2, “dopo il pianetto devo tenermi bene a destra” ; l’orologione adesso era sull’1, “puoi partire” diceva il giudice. “

Vai, vai, vai, dai attacca, attacca, via, dai sul palo”. La pista teneva benissimo, tutt’intorno non sentivo più niente tranne il rumore dei miei sci sulla neve ghiacciata e il rumore dell’aria che penetravo, unico riferimento per capire la velocità con la quale stavo scendendo. Il cuore si era messo a battere regolarmente, nemmeno le frustate dei paletti sulle spalle e sui fianchi mi disturbavano, anzi, mi facevano sentire fisicamente la giustezza della linea che stavo percorrendo e in un attimo mi trovai ad affrontare le quattro aperte sull’ultimo muro che portava al traguardo.

L’altoparlante stava gracchiando, qualche cosa, ma non capivo bene, perché il mio respiro era ancora troppo concitato. Lo trattenni per ascoltare con attenzione e sentii lo speaker che diceva : “Ha tagliato il traguardo la numero 5 Maria Roberta Schranz, miglior tempo di manche ”. “Huau!!! … sono in testa!

Ansimavo e sorridevo, mentre da lontano vedevo la mamma che correva verso di me. La Cloti, che stava già avviandosi a vedere la seconda manche si complimentò, ma non aveva il suo solito sorriso. Anche le altre mentre si avviavano al secondo percorso, passandomi vicino mi dissero brava!, ma sapevano di avere ancora spazio per rimontare. Io ringraziavo tutti felice, ben consapevole che non è ancora finita. Rimasi ancora un po’ lì, al traguardo, a godermi quel breve momento di gloria, sorrisi, pacche sulle spalle, la mamma che mi faceva indossare i sopracalzoni e la giacca per non prendere freddo.

Ma, dopo poco mi avviai anch’io a studiare la seconda manche. Cercavo con tutte le mie forze di rimanere concentrata e di capire quale fosse la linea migliore, ma non era più come prima, a ogni porta che risalivo c’era qualcuno che si complimentava, o qualche altro che mi raccomandava di stare calma.

Un allenatore poco sopra di me diceva che la lunga era più insidiosa di quella della prima manche e in tutto quel bailamme cominciavano a svolazzarmi intorno anche tutti i miei fantasmi. Io provavo a scacciarli ma diventavano sempre più ingombranti e non mi lasciavano più concentrare. “Stai calma”, continuavo a ripetermi, “per ora sei soltanto una mezza campionessa italiana di slalom speciale … Chissà il papà cosa mi dirà quando arriverò a casa? … E Gildo? Sarà orgoglioso di me? … Povera Roselda questa volta non le è proprio andata bene, peccato sarebbe stato bello essere io e lei sul podio, io prima però! “
Intanto salivo, passo dopo passo, salivo ma non riuscivo a ricordarmi tutte le porte. “Devo rimanere calma e concentrata, maledizione, possibile che sono sempre così…, fredda devi essere Beba, fredda come le vere campionesse, per loro è sempre come se fosse la prima manche!”

Raggiunta la partenza mi portai un po’ in disparte per cercare la concentrazione che invece continuava a sfuggirmi. Mi tolsi la giacca e i sopracalzoni, sistemai il numero, pulii gli sci. Facevo di tutto per tenermi occupata, ma il cuore cominciava a non lasciarsi più controllare, batteva così forte che lo sentivo anche nelle orecchie pum-pum-pum, anche le gambe e le braccia cominciavano a formicolarmi. “Cribbio … smettila! “ Provai a sgridarmi, ma invano.

“Adesso provo a fare le respirazioni Yoga, come mi ha spiegato Hermann. Devo far entrare l’aria dalla bocca e passarla contando fino a dieci nei polmoni, sempre contando fino a dieci mandarla nello stomaco e poi farle fare il percorso inverso. Si così, oh! meno male, mi sto calmando, funziona. Riproviamo, 1,2,3,4… Ero così concentrata che quasi per caso sentii lontana la voce del giudice di partenza che gridava “Si prepari la numero 5”, “madonnasanta tocca a me! “ “Scusate, permesso, devo partire ”. “Numero 5, in partenza la numero 5”, ripeteva il giudice. “Sono qui, eccomi”. L’orologione era di nuovo lì, davanti a me, -5, “la tripla, mi raccomando la tripla dal dietro, ricordati”, -4 -3, “oddio il gancio è aperto”, -2 -1 “puoi partire”. “

Attacca, forza attacca, vai, vai, vai, si così, sul palo, anticipa, si dai che tiene bene, ok così. Dopo la doppia da infilare, insidiosa perché proprio sul dosso che portava sul muro, infilai la prima delle due aperte prima dell’ultima tripla, il traguardo era proprio li sotto di me, alla fine del muro, “anticipa, anticipa, anticipa, noooooooooo! MERDA! MERDA! MERDA! E tre!!!

Per alcuni istanti non sentii più nessun rumore, nessuna voce, come se fossi caduta in un acquario, intorno a me la gente si muoveva, mi parlava, ma io non sentivo niente. Mi rialzai e mi appoggiai con le ascelle alle manopole dei miei bastoncini, sconsolata fissavo il guarda porte che risistemava il percorso che avevo in parte distrutto con la mia caduta.

Un allenatore mi aiutava a rimettermi lo sci, preoccupato per il mio ginocchio, “no non mi sono fatta niente, niente di rotto, grazie ”.
Fuori non si era rotto niente ma dentro…si, dentro si era rotto tutto! Mi lasciai cadere sulla neve vicino ad uno striscione pubblicitario sul quale c’era scritto ”La miglior difesa è l’attacco”, ironia della sorte! Intanto sentivo l’alto parlante annunciare il mio abbandono.

“Troppo, ho anticipato troppo, come sono stupida! Ma perché sono così?… non si può perdere per tre anni un titolo italiano agganciando un palo nella seconda manche! Chissà cosa mi diranno adesso. Povero papà, la mamma mi sembra che se la prenda di meno, e Gildo? e io? Non ho scuse. Avrei potuto avere il mio nome sui giornali, per quel che vale! … “Campionessa italiana di slalom speciale “ e invece scriveranno soltanto che sono andata via piangendo per il terzo anno consecutivo.

Vorrei morire! … No, forse è meglio aspettare un po’, a diciassette anni è presto per morire.

E poi , infondo, campionessa italiana di slalom speciale per tre anni consecutivi lo sono stata, anche se … solo della prima manche! “

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2 thoughts on “Beba Schranz – La seconda manche

  1. Beba nel tuo racconto si trovano grandi emozioni che solo un grande campione può provare.
    Brava Beba sei un Campione.

  2. Ciao carissima Beba, ♡♡♡ che bello rivivere con il tuo racconto qualche momento della nostra bella gioventù. ..rifarei tutto ,gioie e dolori…compreso.
    Sono felice di aver condiviso queste esperienze sportive perché dono fermamente convinta dell’importanza dello sport nella vita.
    Ti abbraccio con grande affetto, un sacco di baci
    Carmen ( Rosoleni)

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