I Segreti dei Maestri di Sci – Aristide Compagnoni – di Fulvio Campiotti 1957

Marzo 1957. La seggiovia che dal Ciuk porta alla Baita La Rocca si ferma all’improvviso per mancanza di corrente. Uno sciatore anziano guarda giù dal seggiolino che dondola dolcemente a metà del percorso. Vede un giovane sciatore che arranca in salita. Spettacolo raro ai nostri giorni. Lo sciatore anziano ne prova piacere.

Ma osservando meglio…. oh bella, gli scarponi del giovane fondista non sono piazzati sugli sci a regola d’arte. Le punte vanno in fuori e i tacchi in dentro. Certamente lo sci destro è fissato al piede sinistro e viceversa. E poi, santo cielo, che maniera balorda di impugnare i bastoncini!

Bonariamente, gridando dall’alto, lo sciatore anziano da al giovane i consigli del caso. L’altro di rimando gli urla: “Cosa vuol parlare lei che non sa neanche cosa voglia dire fondo!” – Lo sciatore anziano sorride. Non si arrabbia. Chiede umilmente scusa e soggiunge: “Vedo che lei ne sa più di me. Faccia Pure”.

La seggiovia si rimette in moto e il giovane sciatore, sicuro del fatto suo, riprende ad arrancare coi suoi bravi sci calzati alla rovescia e i bastoncini impugnati alla cannibale. E’ lontanissimo dall’immaginare che ha altezzosamente rifiutato i consigli di Aristide Compagnoni, di un campione del fondo che vanta una carriera agonistica difficilmente uguagliabile.

Aristide si ritirò dalle gare nel 1952, l’anno in cui partecipò per l’ultima volta alla Staffetta dello Stelvio ottenendo la sua 12.ma vittoria di squadra. La S.E.M.  gli consegnò una medaglia d’oro per premiare in lui l’atleta più fedele alla competizione di cui è organizzatrice.

 

Facendo il maestro di sci e la guida alpina Aristide l’ha veduta brutta più di una volta. Ma un’avventura specialmente gli fece perdere il sonno per un’intera notte.

Fu nella primavera del 1950 o 1951, non ricorda con precisione. Accompagnava sulla punta San Matteo (mt. 3684) venti sciatori svizzeri di Zurigo. C’era anche suo fratello Severino.

La comitiva era partita dalla Capanna Branca col sole. Ma a quota 3500 si trovò nella nebbia fittissima. Compagnoni si fermò per controllare con la bussola e altimetro se fosse sulla giusta via verso la vetta che conosceva bene per averla raggiunta in precedenza almeno cinquanta volte. Riprese a salire.

Marciava avanti a tutti quattro o cinque metri. Nessuno era legato. A un certo momento Aristide stimò che doveva trovarsi a 30 metri dalla cima. Ma non vedeva nemmeno la punta degli sci. Avanzò ancora con la bussola in mano. “Improvvisamente – è lui che racconta – il bastoncino destro sprofondò nel vuoto. Capii al volo che ero sull’orlo della parete Nord. Anche uno sci era già in parte fuori oltre la vetta. Dieci centimetri ancora e sarei andato giù come un salame. Mi si drizzarono in testa i capelli per lo spavento e con un salto a sinistra mi misi al sicuro. Ma feci finta di niente per non impressionare i clienti. Tuttavia, quando fui a letto non riuscii a chiudere occhio pensando che avrebbero potuto cercarmi col cucchiaino”.

Si sa, i maestri sono buontemponi. Specialmente i valtellinesi che sono furbi matricolati.Aristide, che non era legato sul San Matteo, si legò invece un giorno con quattro o cinque suoi allievi della Scuola Estiva di Sci del Passo dello Stelvio per scalare la Cima Garibaldi, la modesta altura sassosa che un tempo riuniva sul suo vertice i confini fra Italia, Svizzera e Austria. Una ascensione in piena regola, con ramponi ai piedi e piccozze nelle mani, accompagnata da comandi perentori e da manovre di sicurezza.

Gra stupore di una bellissima signora, già sulla cima, nel vedere arrivare, impegnatissima, la straordinaria cordata. Disse la signora: “Ma io sono salita quassù da sola”. – Compagnoni serio: “Lei è stata imprudentissima. – Sono già andata sulla Marmolada, diamine! – Ma quella montagna è un’altra cosa.

Il gran stupore lasciò il posto a una gran paura a scoppio ritardato . Aristide, divertito, convinse la signora che in discesa era meglio che si legasse anche lei. La bella donna giunse al passo più morta che vivaper gli strattoni, i salti, le acrobazie cui la sottoposero quei masnadieri in cerca di un passatempo. solo alla fine la misera capì che si trattava di uno scherzo. Ma non se la prese. Ci rise sopra e pagò da bere ai suoi diabolici compagni di cordata.

Sulla cima Garibaldi, Compagnoni usò la corda per burla. Ma sui ghiacciai del Cevedale la consiglia sempre a quanti vi si avventurano slegati, ingannati dall’apparente docilità del pensio. Egli stesso lega gli allievi della scuola estiva di sci, che ora dirige, quando fanno la gita settimanale e vanno perciò oltre i campi delimitati per le lezioni.

Orbene, nel 1953, fine agosto, Aristide vide capitare alla “Casati” trenta ragazzi diretti alla vetta del Cevedale. Li accompagnava un capogruppo al quale Compagnoni suggerì di mettersi in cordata. L’altro seccato, replicò che non era il caso. Senonchè, mentre la comitiva stava tornando dalla cima, giunsero al rifugio grida invocanti aiuto. Aristide e Severino accorsero con le corde e trovarono uno dei ragazzi giù in un crepaccio, alla profondità di dieci metri. Per fortuna in piedi su un ponte e incolume. Stava bene e soccorrerlo non era pressante. Allora Compagnoni, battagliero com’è, investì il capogruppo: “E’ un peccato che non sia caduto lei lì dentro, l’avrei lasciato giù un’oretta al fresco. – Ma c’era la strada! – Ah, si! Crede di avere ragione ancora lei? Allora lo lasciamo giù!

C’è da giurare che si i compagni del caduto non avessero subito dato clamorosamente toro al loro incauto accompagnatore, Aristide avrebbe inflitto una lezioncina al capogruppo, facendolo restare sulle spine per qualche tempo, con quel ragazzo imprigionato nel crepaccio. Invece il malcapitato fu tirato fuori in un baleno e al suo accompagnatore non restò che chiedere umilmente scusa.

E le avventure femminili del maestro di sci Compagnoni? Volto maschio, carattere espansivo, maniere disinvolte, sclilinguagnolo sciolto, Aristide è tipo da far colpo sulle donne. E queste non gli dispiacciono certo. Ma è anche molto abbottonato sull’argomento. Di una sola strana dichiarazione d’amore mi ha raccontato. Gliela fece una bella ragazza che egli conobbe dapprima nella sua qualità di guida alpina. L’ebbe infatti come cliente in due ascensioni. Una volta all’Ortles per una via piuttosto difficile e l’altra al Gran Zebrù. Poi se la ritrovò alla “Casati” come allieva alla scuola di sci. un giorno la bella ragazza, dopo aver sbagliato un cristiania, scoppiò in un pianto senza freno. Aristide le chiese il perchè di quelle lacrime copiose, che non era il caso, che non l’avrebbe sgridata . Si sentì allora rispondere, e una luce che non lasciava dubbi si sprigionava dagli occhioni irrorati della fanciulla: “ma non è per il cristiania che piango!”

Allora capì che l’allieva doveva avere un debole per il suo maestro. Cosa ne fece di quel debole, Aristide non me l’ha detto. Nè io glie l’ho domandato.

E’ cavalleresco oltre il doveroso rispettare i misteri della psiche femminile.

 

-Fulvio Campiotti –

 

You May Also Like

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *