Leggere lo sci…consigli di Gianluca Trivero

Tracciare un possibile elenco dei libri che hanno come ispirazione lo sci è pressochè impossibile. Qui provo a dare il via – con una manciata di titoli – a quella che può essere una lista infinita di storie che ognuno di Voi può ampliare. La scelta è soggettiva, sono testi che in modo eterogeneo hanno rispecchiato la mia passione per lo sci, la montagna, il “lasciarsi andare” giocando con la gravità ,verso valli dove confluiscono sentimenti ed emozioni che non possono svanire, come nevi perenni.

La Montagna Incantata di Thomas Mann
Il giovane Johan Castorp all’inizio del Novecento trascorre una lunga degenza in un sanatorio di Davos. Un’esperienza che plasmerà il suo spirito, dandogli Amore, esperienza e sconfitte. Scoprirà la vertigine dello sci come evasione dalla propria condizione psicologica e fisica, fuga nel misticismo bianco, nel brivido dell’incoscienza.
“Quel mondo, nel suo silenzio immenso, non aveva nulla di attraente, accoglieva il visitatore a suo rischio e pericolo, anzi non lo accoglieva, sopportava soltanto la sua intrusione, la sua presenza; da esso emanavano forze elementari quietamente minacciose , non già ostili, ma piuttosto mortali in semplice indifferenza(…) Giovanni Castorp, coperto del panciotto di pelo di cammello, con le gambe ravvolte nelle fasce, sui suoi sci di lusso, si riteneva molto ardito quando se ne stava là ad ascoltare intento la quiete primordiale di quel paesaggio mortalmente silenzioso” Raccontando l’attività sciatoria del protagonista Mann traccia forse per primo i confini dello spazio rappresentativo dello sci, che – come una recita – richiede travestimento, oggetti, esibizionismo, ruoli e cerimoniali precisi. Arrivando a “perdersi” nella neve Castorp trova sciando quello che vivranno un giorno milioni di praticanti: l’ebbrezza, il gusto dell’apprendimento, il perfezionarsi del proprio virtuosismo. Egli non guida tanto lo sci, è la discesa che si fa sciata nella sua interiorità. E’ la prima fase dello sci, che precede l’avvento degli impianti di risalita, il periodo in cui la discesa si conquista al termine di un percorso di crescita non solo altimetrica ma spirituale.

“Neve tra due paesi” da I 49 Racconti di Ernest Hemingway
Hemingway, alla metà degli anni venti, soggiornò nella piccola valle del Vorarlberg, intorno al gruppo del Silvretta. La vita era poco costosa, la neve moltissima e le faticose risalite compensate da discese mozzafiato come ricorda in “Le nevi del Chilimangiaro” rievoca i suoi inverni nel Vorarlberg.“Là che correvano la grande volata, giù per il ghiacciaio sopra la Madlener Haus, la neve soffice come una torta a guardarla, gelata e leggera come polvere, egli ricordava la scia silenziosa della velocità quando si piombava giù come uccelli”. E’ però in un altro dei “49 racconti” che lo scrittore americano – oltre a ricordarci la compresenza epocale di telemark e cristiania – ci regala una delle più memorabili descrizioni di una giornata di sci del periodo, tra due amici che, saliti con una funicolare, vivono l’ebbrezza della discesa, il piacere del dialogo, l’ostentazione della propria perizia, il desiderio di programmare future discese a sottolineatura l’emozione condivisa. “ Gli sci cominciarono a scivolare ed egli si lascio andare, sibilando tra la polvere di neve cristallina, sollevandosi e calando improvviso mentre scendeva la pista ondulata (…) Guardò su. George stava scendendo in posizione di telemark, con le ginocchia piegate; una gamba piegata avanti, l’altra come guida; le racchette penzolanti, come gambe sottili d’insetti, sollevavano sbuffi di neve quando toccavano la superficie bianca; infine l’intera figura curva sulle ginocchia eseguì una bellissima curva a destra, porando avanti e indietro le gambe, poggiando dall’altra parte il peso, mentre le racchette precisavano la traiettoria della curva come punti di luce, il tutto in una selvaggia nuvola di neve. – Avevo paura a fare il cristiania- George disse- la neve è troppo fonda. Tu l’hai fatto una bellezza-.-Non posso fare il telemark con questa gamba- disse Nick.[…]- Magari non andremo a sciare più, Nick- disse George.- Dobbiamo- disse Nick – Che gusto c’è se uno non scia?- Bene, allora andremo-George disse.-Dobbiamo-Nick acconsentì.”

“Amicizia” da Sillabario n°1 di Goffredo Parise
In Italia i primi anni sessanta sono stati il momento culminante di questo sport come fenomeno di massa E’ l’epoca in cui Goffredo Parise ambienta quello che a personale giudizio resta forse il miglior racconto sullo spirito della discesa, sul suo “senso” legato all’abbandono, a un’esaltazione sentimentale della velocità che diventa comunicazione; “…la velocità divenne alta perché gli sci affondavano nella neve fresca dando sicurezza e il sole illuminava tutti in viso in modo così forte che ognuno provò il sentimento di questa bellezza. (…) Gioia disse sottovoce a Mario che scendeva al suo fianco: – Come è bello vero Mario? – e Mario provò per questa frase a lui diretta un attimo di riconoscenza che lei aveva previsto; Silvia si rannicchio “a uovo” per acquistare velocità (questioni di resistenza all’aria) e così facendo sorrise a se stessa con molto affetto e ironia(…) solo Dabcevich, altissimo e stralunato, commise un eccesso slavo, o austriaco, o russo, gridò: – Sublime, sublime! – con cui si conquistò per sempre la simpatia di tutti, poi “sublime” si perdette nelle grandi arie dei monti e non si udì più nulla. Insomma erano tutti molto felici, in modo così bello da attribuire la ragione di questo sentimento non soltanto alle montagne color rosa, alla neve e al sole ma soprattutto ai propri simili che in quel momento”. C’è la bellezza dello sci come magia condivisa con amici con cui misurarsi e osservarsi. La discesa come evento epicureo, ma anche invito esplicito all’astrazione, come veicolo per quel misto di “sgomento e piacere” che porta all’esperienza estetica del Sublime.

“L’Avventura di uno sciatore” da Gli amori difficili di Italo Calvino
Un racconto nel quale Calvino descrive con magistrale ironia e realismo, in una grigia giornata di vento e nevischio, i rituali di un gruppo di giovanotti che si affollano allo skilift, si tuffano un po’ inesperti nel bianco e osservano chi evoluisce al loro fianco, specie se di particolare fascino muliebre, facendo improbabili confronti e riflessioni. Guardare ed essere guardati diventa così non un’opzione ma una delle motivazioni che spingono all’azione ed al coinvolgimento emozionale: “- Beh, non è poi quel gran campione, la bionda- ebbe fretta di dire il grasso, con sollievo.(…) ma intanto, quelli del pullman non riuscivano a tenerle dietro. Finché anche il grasso ammise: – Altro che storie! Va da dio! – Il perché non l’avrebbero saputo spiegare, ma era questo che li teneva a bocca aperta: tutti i movimenti le venivano i più semplici e i più adatti alla sua persona, senza mai traboccare di un centimetro, senza l’ombra di turbamento o di sforzo, o di puntiglio a fare una cosa a tutti i costi, ma facendola così, naturalmente; (…) questo era il modo in cui la ragazza celeste-cielo andava sugli sci-”.

Cime Misteriose di Fergus Fleming
Gli inglesi, battuto Napoleone, si scoprirono dominatori del mondo e l’esplorazione dei suoi luoghi ancora ignoti divenne il segno tangibile di un dominio politico e tecnico, e la sua variante di massa, il turismo, il segno di un’egemonia culturale e di stile che aveva nelle Alpi una delle mete privilegiate. Con tipico e colto humour anglosassone Fergus Fleming racconta questo e altro nel suo variegato saggio sulla grande avventura della conquista delle Alpi. Che ci regala anche la descrizione di quello che è una sorta di protoantenato dello sci.
Mentre nell’arco di un secolo a partire da fine ‘700, gli scalatori raggiungevano tutte le vette, nessuno pensava ancora a scenderne scivolando su assi di legno. Anche se alcuni montanari, da molto tempo, usavano buttarsi slittando sulle scarpe e usando il bastone cone un timone d’appoggio sulla neve. Narra l’autore che nel 1827 le guide del Bianco adottavano un sistema per scendere rapidamente verso il basso dopo la scalata con due inglesi che – pur non essendo sci – ne appare come una rudimentale premonizione: “invece di scendere con attenzione lungo il pendio scivolavano sui loro bastoni alpini. Questo intelligente trucco consisteva nell’appoggiarsi sul bastone e derapare con i piedi in avanti nella neve, frenando e guidandosi con i talloni(…)In questa maniera discesero a una velocità incredibile, coprendo uno spazio di duecento metri alla volta”. A un certo punto, la guida che portava dietro di sé un inglese a cavalcioni del bastone frenò troppo repentinamente: i due volarono in aria rotolando fino in fondo al declivio. “Il britannico sputò neve e affermò che l’incidente (retrospettivamente) era stato piuttosto divertente.”.
Divertimento. L’irruzione dello sci nelle Alpi troverà proprio in questa parola l’estrema sintesi del suo sviluppo!

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